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today14 Novembre, 2025
Gli Stati Uniti hanno lanciato una nuova offensiva militare (Southern Spear) contro i cartelli della droga. L’operazione, denominata “Southern Spear”, è iniziata con una serie di raid nei Caraibi e con l’arrivo della portaerei Ford davanti alle coste del Venezuela, in un’area sempre più al centro della tensione geopolitica. L’amministrazione Trump sostiene che l’iniziativa Southern Spear serve a colpire i “narcoterroristi” e a proteggere l’emisfero occidentale dal traffico di droga, ma Caracas parla apertamente di provocazione e avverte del rischio di un conflitto regionale.
Secondo il Pentagono, nelle ultime 24 ore le forze statunitensi hanno ucciso altre quattro persone accusate di traffico di stupefacenti via mare, nel corso dell’operazione Southern Spear. Il bilancio complessivo sale così a 80 vittime dall’avvio della campagna Southern Spear, lo scorso settembre.
Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha ufficializzato il nome dell’operazione – Operation Southern Spear – e ne ha illustrato gli obiettivi attraverso un messaggio pubblicato sui social: «Questa missione difende la nostra Patria, allontana i narcoterroristi dal nostro emisfero e protegge dalla droga che sta uccidendo il nostro popolo. L’emisfero occidentale è il vicinato dell’America e lo proteggeremo».
La portaerei Gerald R. Ford, insieme a diverse navi d’appoggio, ha già raggiunto il Mare dei Caraibi, da dove può condurre missioni aeree e navali su vasta scala. Secondo fonti del Dipartimento della Difesa citate dal New York Times, le operazioni sono “mirate” contro obiettivi legati al narcotraffico ma potrebbero estendersi anche alle infrastrutture militari venezuelane, accusate da Washington di proteggere i cartelli sudamericani.
Il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha risposto all’escalation dell’operazione Southern Spear lanciando un appello pubblico, trasmesso dalla Cnn, rivolto direttamente al popolo americano: «Chiedo ai cittadini degli Stati Uniti di unirsi a noi per garantire la pace nel continente americano. Non abbiamo bisogno di altre guerre».
A Caracas cresce l’allarme per l’operazione Southern Spear. Il presidente dell’Assemblea nazionale Jorge Rodríguez ha avvertito delle «conseguenze incalcolabili» che potrebbe avere un conflitto armato nei Caraibi, denunciando la «minaccia diretta» rappresentata dal dispiegamento della flotta statunitense.
Il governo venezuelano ha convocato d’urgenza il Consiglio di Difesa Nazionale e ha chiesto il sostegno dei Paesi alleati, tra cui Cuba, Bolivia e Nicaragua, per condannare l’operazione Southern Spear come una violazione della sovranità regionale.
Dietro l’operazione “Southern Spear” si intravede la strategia di lungo periodo dell’amministrazione Trump, che già dal suo primo mandato aveva accusato il Venezuela di essere un “narco-Stato” e di facilitare il traffico di cocaina verso gli Stati Uniti attraverso le rotte caraibiche.
Negli ultimi mesi, il presidente americano ha più volte ribadito la volontà di «estirpare i cartelli dal continente», anche con l’uso della forza militare. La nuova offensiva rappresenta una svolta radicale: non più soltanto cooperazione con le polizie locali, ma interventi diretti contro le imbarcazioni sospette in acque internazionali.
Gli osservatori internazionali temono che l’operazione possa avere anche un obiettivo politico: indebolire Maduro e favorire un cambio di regime a Caracas. Il Venezuela, già duramente colpito dalle sanzioni economiche e dall’isolamento diplomatico, denuncia da tempo le manovre statunitensi come tentativi di “assedio” militare.
Sul piano giuridico, la Casa Bianca sostiene di agire nel pieno rispetto del diritto internazionale. Un memorandum di oltre 40 pagine redatto dall’ufficio legale del Dipartimento di Giustizia fornisce la base legale per l’operazione, qualificando i cartelli della droga come “forze ostili” contro cui gli Stati Uniti possono legittimamente intervenire.
Il documento, riportato in esclusiva dal New York Times, afferma che «i cartelli dei narcotrafficanti costituiscono una minaccia diretta alla sicurezza nazionale» e che «le azioni militari preventive sono conformi al diritto di autodifesa riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite».
Tale posizione è contestata da diversi esperti di diritto internazionale, secondo cui i raid nei Caraibi violano la sovranità degli Stati latinoamericani e potrebbero configurarsi come atti di guerra non dichiarati.
Nonostante le critiche, il Dipartimento della Difesa ribadisce che «gli Stati Uniti sono in guerra contro i cartelli» e che le operazioni «proseguiranno finché la minaccia non sarà eliminata».
L’operazione “Southern Spear” segna un nuovo capitolo nelle relazioni tra Washington e Caracas. Con la flotta americana schierata nel Mar dei Caraibi e il governo venezuelano in stato di massima allerta, cresce il rischio di un’escalation militare che potrebbe coinvolgere l’intera regione.
Paesi come Messico e Colombia, pur condividendo l’obiettivo di combattere il narcotraffico, hanno espresso preoccupazione per l’uso della forza da parte degli Stati Uniti. Anche l’ONU ha invitato alla prudenza, chiedendo a tutte le parti di «evitare un’escalation e garantire la stabilità regionale».
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha dichiarato che «la guerra alla droga non può giustificare operazioni unilaterali che mettano a rischio la pace nel continente».
Intanto, a Washington, il Congresso discute se autorizzare ulteriori fondi per l’operazione. L’opposizione democratica chiede trasparenza sulle regole d’ingaggio e sulle eventuali perdite civili, mentre la Casa Bianca parla di “missione necessaria per la sicurezza nazionale”.
Scritto da: Matteo Respinti
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