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“Manipolatore e lucido”: sentenza per il ragazzo che commise la strage di Paderno Dugnano

today29 Settembre, 2025

Sfondo

Le motivazioni della sentenza sul caso della strage di Paderno Dugnano gettano nuova luce sulla mente del ragazzo che, all’età di 17 anni, uccise i genitori e il fratellino nella villetta di famiglia. Condannato a 20 anni di reclusione, il giovane è stato descritto dai giudici come «manipolatore, scaltro e lucido», capace di distinguere la realtà dalla fantasia e di programmare ogni dettaglio del delitto. Una decisione che ha escluso il riconoscimento del vizio parziale di mente, aprendo ora la strada al processo d’appello annunciato dalla difesa.

Il profilo del ragazzo e il piano della strage

Il Tribunale per i Minorenni di Milano ha ricostruito con precisione le fasi che portarono alla strage di Paderno Dugnano. Secondo le 51 pagine firmate dalla giudice Paola Ghezzi, il giovane maturò il proposito di uccidere almeno dal giorno precedente, quando il pensiero di liberarsi della famiglia per “raggiungere l’immortalità” prese forma definitiva.

Nella mente dell’allora 17enne convivevano tratti disfunzionali come l’alessitimia e la tendenza alla scissione della personalità, ma tali elementi non furono ritenuti sufficienti a ridurre la capacità di intendere e volere. Per i giudici, l’imputato conservava un pieno controllo sulle proprie azioni: programmò l’aggressione al fratellino addormentato, attirò i genitori nella sua stanza e variò la strategia per colpirli con brutalità.

Il delitto fu caratterizzato da un accanimento estremo, con numerose coltellate e un livello di violenza che la sentenza definisce frutto di «rabbia ed odio narcisistici». Le modalità di esecuzione dimostrerebbero, secondo il tribunale, che il ragazzo agì con «intelligenza di condotta» e piena lucidità, senza dissociazioni né instabilità.

Ideologia e tentativi di depistaggio

Le motivazioni della sentenza collegano la strage di Paderno Dugnano anche al contesto culturale e ideologico in cui il ragazzo si muoveva. Dagli apparecchi informatici sequestrati emersero immagini del Mein Kampf e frasi che indicavano inclinazioni fasciste, naziste e omofobe. Questi elementi, secondo i giudici, rafforzano il profilo di un giovane manipolatore, attratto da visioni radicali e da un immaginario di potere assoluto.

Subito dopo i fatti, l’imputato tentò di depistare le indagini. In un primo momento cercò di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre, prima di ammettere parzialmente le proprie responsabilità solo quando capì che i soccorritori e il nonno non avevano creduto alla sua versione.

La pianificazione della strage emerge anche da dettagli come l’uso di una maglietta nera per coprire l’impugnatura del coltello, così da non lasciare impronte. Secondo la sentenza, si tratta di un segno evidente della capacità di prevedere le conseguenze e predisporre azioni mirate a garantirsi l’impunità.

La condanna: 20 anni senza vizio parziale di mente

La decisione del Tribunale minorile ha portato alla condanna massima consentita per un minore in rito abbreviato: 20 anni di carcere. Pur applicando le attenuanti generiche e tenendo conto della minore età, i giudici hanno escluso il riconoscimento del vizio parziale di mente.

Lo psichiatra Franco Martelli, nella perizia, aveva evidenziato la presenza di un disturbo psichiatrico e la persistenza di una fantasia legata al concetto di “immortalità”. Tuttavia, per la corte, il comportamento del ragazzo prima, durante e dopo il delitto dimostrava una piena capacità di intendere e di volere. L’imputato, scrive la sentenza, «ha mantenuto lo stesso livello di organizzazione mentale durante le diverse fasi del delitto, non apparendo in alcun momento dissociato».

In questo quadro, la sentenza minorile ha escluso qualsiasi riduzione di responsabilità, sottolineando come l’omicidio fosse frutto di una scelta consapevole, pianificata nei dettagli e portata a termine con freddezza.

Il ricorso della difesa e l’attesa per l’appello

La difesa, rappresentata dall’avvocato Amedeo Rizza, ha annunciato ricorso in appello contro la condanna inflitta per la strage di Paderno Dugnano. Il legale sostiene che il tribunale non abbia valutato adeguatamente l’incidenza della patologia psichiatrica del ragazzo sul reato commesso.

Secondo Rizza, la perizia che accertava un vizio parziale di mente avrebbe dovuto incidere sulla pena, riducendola sensibilmente. Inoltre, la condanna a 20 anni viene ritenuta sproporzionata, pur nel rispetto del massimo previsto per i minori. L’avvocato ha ricordato che il giovane necessita di cure e che la sua fragilità mentale avrebbe dovuto orientare verso una pena meno severa.

L’appello rappresenterà dunque il nuovo capitolo giudiziario di una vicenda che ha scosso profondamente la comunità di Paderno Dugnano e l’opinione pubblica nazionale. In attesa della nuova udienza, la sentenza di primo grado resta un documento cruciale per comprendere la dinamica e la motivazione di un crimine che ha distrutto una famiglia apparentemente “normale”.

La strage di Paderno Dugnano resta un caso emblematico nella cronaca nera italiana: un delitto familiare compiuto da un adolescente, senza un movente chiaro, ma con un progetto di “immortalità” costruito su ideologie radicali e fantasie distorte. La sentenza minorile ha tracciato il profilo di un ragazzo capace di manipolare, pianificare e agire con lucidità, escludendo qualsiasi attenuazione legata a un vizio parziale di mente.

Ora sarà la Corte d’Appello a stabilire se la pena resterà invariata o se, al contrario, la diagnosi psichiatrica potrà incidere sul giudizio. In ogni caso, il processo continua a interrogare la giustizia, la psichiatria e la società su quanto fragile e complessa possa essere la linea che separa realtà, malattia mentale e responsabilità penale.

Scritto da: Matteo Respinti

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