Listeners:
Top listeners:
play_arrow
GR News
play_arrow
Giornale Radio
play_arrow
Radio Podcast
play_arrow
70-80.it
play_arrow
Radio Italia Network
today2 Ottobre, 2025
Non si hanno più notizie di Mikalai Statkevich, uno dei più importanti dissidenti bielorussi, liberato a metà settembre dopo cinque anni di carcere. Il 69enne, noto per il suo lungo impegno contro il regime di Alexander Lukashenko, si era rifiutato di lasciare la Bielorussia nonostante un accordo politico con gli Stati Uniti che prevedeva il suo trasferimento in Lituania. Fermato al confine e portato via da uomini in uniforme, da allora il suo destino resta avvolto nell’incertezza. Il caso ha sollevato dure reazioni internazionali e alimentato i timori per le condizioni dei tanti prigionieri politici ancora detenuti nel paese.
Il rilascio di Mikalai Statkevich era stato salutato come un gesto distensivo da parte del governo di Minsk, frutto di un’intesa con Washington. Insieme ad altri oppositori, lo storico leader dell’opposizione bielorussa era stato condotto verso la frontiera con la Lituania, con l’obiettivo di espellerlo e trasferirlo all’estero.
Ma Statkevich ha sorpreso tutti scegliendo di non attraversare la frontiera. Una volta sceso dal pullman, ha deciso di restare nell’area di transito di Kamenny Log, tra il confine bielorusso e quello lituano. Le immagini di sorveglianza lo hanno mostrato seduto, determinato a rifiutare l’esilio. Alcuni passeggeri hanno confermato che non voleva abbandonare il suo Paese, perché convinto che la sua battaglia politica dovesse continuare dall’interno.
La scelta ha confermato la coerenza di una vita spesa nell’opposizione a Alexander Lukashenko, presidente dal 1994 e alleato di ferro di Mosca. Tuttavia, ha anche riaperto per lui la prospettiva della prigione, da cui era uscito solo pochi giorni prima.
L’11 settembre, dopo ore di attesa nella zona di transito, il destino di Mikalai Statkevich è cambiato bruscamente. Secondo le testimonianze e i filmati diffusi, alcuni uomini in uniforme lo hanno preso in consegna e riportato in Bielorussia. Da quel momento non è più ricomparso in pubblico.
Lo stesso Alexander Lukashenko ha ammesso che il dissidente era rientrato nel Paese, accennando a un nuovo arresto, senza però fornire dettagli. Non è stato comunicato né il luogo della sua detenzione, né il suo stato di salute. Alcuni media indipendenti hanno riportato che si troverebbe nel carcere di Hlybokaye, lo stesso in cui era rinchiuso prima del rilascio, ma mancano conferme ufficiali.
La moglie, Maryna Adamovich, ha cercato informazioni direttamente presso l’amministrazione penitenziaria, senza ottenere risposte. Intanto le preoccupazioni crescono, anche perché Statkevich soffre di problemi cardiaci e avrebbe lasciato sul pullman le sue medicine insieme agli effetti personali.
Il silenzio delle autorità bielorusse sul destino di Mikalai Statkevich ha spinto le istituzioni internazionali a intervenire. Nazioni Unite e Parlamento Europeo hanno condannato la vicenda, accusando il regime di Minsk di detenzione arbitraria e violazione dei diritti umani. «La sorte di Statkevich dimostra la precarietà della libertà in Bielorussia e la fragilità delle aperture politiche annunciate», hanno osservato diversi esponenti europei.
Anche l’opposizione bielorussa in esilio ha reagito con fermezza. Svetlana Tsikhanouskaya, rifugiata in Lituania dopo le contestate elezioni del 2020, ha sottolineato come il caso rappresenti «un simbolo della repressione contro chi non accetta compromessi con il regime».
Il destino di Statkevich si inserisce in un contesto di costante repressione. Oggi si stima che in Bielorussia ci siano oltre 1.200 prigionieri politici, incarcerati per motivi legati alla loro attività di dissenso. Per molti di loro, la liberazione appare lontana, e il caso Statkevich non fa che confermare la durezza della linea adottata da Alexander Lukashenko.
La vicenda di Mikalai Statkevich non può essere compresa senza ripercorrere la sua storia. Ufficiale dell’esercito di formazione, aveva fondato negli anni Novanta il partito socialdemocratico Hramada, diventando presto uno dei volti più noti della scena politica alternativa al potere.
Nel 2010 si candidò alla presidenza, sfidando direttamente Alexander Lukashenko in elezioni considerate non libere e non democratiche. Dopo il voto fu arrestato e condannato a cinque anni di carcere per avere organizzato proteste contro il regime. Tornato in libertà, continuò a guidare l’opposizione bielorussa, fino al nuovo arresto del 2020, alla vigilia delle elezioni segnate da brogli e repressioni.
In quell’occasione fu condannato a 14 anni di prigione, pena che stava ancora scontando quando è stato incluso nell’accordo di settembre. La sua decisione di rifiutare l’esilio e restare in Bielorussia conferma il suo profilo di dissidente irriducibile, disposto a pagare con la libertà pur di non rinunciare alla sua battaglia.
Oggi la sua scomparsa solleva dubbi e timori. Se davvero è tornato dietro le sbarre, come sembra, il rischio è che la sua vicenda diventi il simbolo della chiusura definitiva del regime verso ogni ipotesi di compromesso con l’Occidente.
Scritto da: Matteo Respinti
Testata Giornalistica “GR News” registrata presso il Tribunale di Milano - Registro Stampa N° 194/2022 | GR News - Iscrizione al R.O.C. Registro Operatori della Comunicazione – Reg. n° 33572 - Copyright ©2025 Nextcom Srl – Società editoriale - P. IVA 06026720968 - TEL 02 35971400 – WHATSAPP 349 182 75 01
Commenti post (0)