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Alberto Trentini, prigioniero da 8 mesi in Venezuela: «Silenzio di Meloni insostenibile»

today15 Luglio 2025

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Da otto mesi un cittadino italiano è rinchiuso in una prigione venezuelana, senza accuse formali, senza processo e senza risposte. Si chiama Alberto Trentini, ha 33 anni, è un cooperante, ed è stato arrestato nel novembre 2024 mentre lavorava in un progetto umanitario nello Stato venezuelano di Lara. Oggi sua madre, Armanda, ha lanciato un appello accorato al Governo italiano, affiancata da personalità del mondo civile e politico. La richiesta è semplice ma urgente: intervenire subito per riportarlo a casa.

Un arresto senza accuse, in un carcere tra violenza e abusi

La vicenda di Alberto Trentini inizia otto mesi fa, quando viene fermato da agenti venezuelani in circostanze ancora non chiarite. Trentini si trovava in Venezuela in qualità di cooperante per una ONG attiva nell’assistenza sanitaria e alimentare alle comunità rurali. Da quel momento, è stato rinchiuso in un carcere della regione di Lara, in condizioni descritte come disumane da un compagno di cella recentemente rilasciat

Il cittadino svizzero, con cui Alberto Trentini ha condiviso lo spazio angusto della cella, è tornato in Europa poche settimane fa dopo che il suo Governo si è attivato tempestivamente per ottenerne la liberazione. A differenza di quanto fatto dalla Svizzera, però, il Governo italiano non ha ancora fornito indicazioni chiare sulle proprie mosse diplomatiche. La Farnesina si è limitata a dichiarare che «segue il caso con attenzione», ma per la famiglia Trentini, e non solo, questo non basta.

Secondo il racconto del detenuto svizzero, la prigione è affollata, violenta, priva di cure mediche adeguate e con contatti con l’esterno ridotti al minimo. Una detenzione in Venezuela di questo tipo può trasformarsi rapidamente in una condanna psicologica e fisica, soprattutto se priva di riferimenti giuridici e tutele consolari efficaci.

L’appello della madre Armanda e il sostegno della società civile

A otto mesi esatti dall’arresto, Armanda Trentini ha parlato pubblicamente davanti al tribunale di Roma, dove si stava celebrando un’udienza per l’omicidio di Giulio Regeni. Un contesto carico di significati, scelto non a caso per sottolineare la necessità di non lasciare soli gli italiani ingiustamente detenuti o morti all’estero.

«Il silenzio della presidente Meloni è insostenibile», ha dichiarato la donna. «Ogni giorno che passa è una tortura per mio figlio e per noi. È ora che qualcuno agisca». Le sue parole sono state raccolte da giornalisti e attivisti accorsi per sostenere la causa di Alberto Trentini, un uomo che, come ha ricordato sua madre, «ha solo cercato di aiutare chi aveva bisogno».

Accanto a lei c’erano Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, l’avvocato dei diritti umani Alessandra Ballerini e il segretario del Partito Democratico, Elly Schlein. Tutti hanno lanciato un appello forte e unanime al Governo italiano affinché metta in campo ogni sforzo per ottenere il rilascio di Alberto Trentini.

Don Ciotti ha ricordato che «impegnarsi per i diritti umani non può mai diventare una colpa. Alberto ha fatto il suo dovere morale». Alessandra Ballerini, già legale della famiglia Regeni, ha definito il caso «una ferita aperta» nel rapporto tra Stato e cittadini. E Schlein ha sottolineato come «otto mesi senza accuse siano un’enormità giuridica e umana».

Il paragone con Regeni e Paciolla: «Per loro era troppo tardi. Per Alberto no»

Nel suo appello, Armanda Trentini ha evocato due nomi che l’Italia conosce bene: Giulio Regeni e Mario Paciolla. Due giovani italiani impegnati nel sociale e nella cooperazione internazionale, morti in circostanze drammatiche all’estero, tra silenzi istituzionali e verità negate.

«Per loro non siamo arrivati in tempo. Per Alberto Trentini possiamo ancora intervenire», ha detto Armanda. Il suo messaggio è chiaro: evitare che un altro caso si aggiunga alla lista delle tragedie non chiarite che hanno segnato la coscienza collettiva italiana. «Non voglio vedere mio figlio tornare in una bara. Lo voglio vivo e libero», ha aggiunto.

Don Ciotti si è rivolto direttamente a Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela: «Si professa cattolico? Allora si ponga una mano sulla coscienza». Ma il messaggio più forte è forse stato rivolto alla premier Giorgia Meloni: «Anche lei deve fare la sua parte. Non ci si può voltare dall’altra parte».

Una richiesta al Governo italiano: «Non ci arrendiamo»

Finora non risultano incontri ufficiali tra la famiglia Trentini e i rappresentanti istituzionali. Le richieste di udienza al Governo italiano sono rimaste senza risposta. Nessun segnale concreto, né da Palazzo Chigi né dalla Farnesina, su una possibile attivazione di canali diplomatici con Caracas.

Nel frattempo, la detenzione in Venezuela continua a protrarsi in un limbo giuridico. Per la madre di Alberto Trentini, «questo è un silenzio assordante che ci uccide lentamente». E aggiunge: «Noi non ci arrendiamo. Vogliamo giustizia, vogliamo verità e vogliamo nostro figlio libero».

Il sit-in di Roma potrebbe non essere l’ultimo. Già si parla di nuove mobilitazioni in tutta Italia per tenere alta l’attenzione sull’Alberto Trentini e chiedere al Governo italiano di rompere l’indifferenza. «Siamo ancora in tempo per salvarlo», ha detto ancora Don Ciotti. «Ma il tempo sta finendo».

Scritto da: Matteo Respinti

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