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Attacco del 7 ottobre: purghe nell’Idf e scontro con Netanyahu

today24 Novembre, 2025

Sfondo

L’attacco del 7 ottobre continua a produrre conseguenze profonde nella politica e nelle istituzioni israeliane. A più di un anno dal massacro compiuto da Hamas, con oltre 1.200 vittime e più di 200 ostaggi, l’Idf ha avviato una serie di rimozioni e provvedimenti disciplinari ai danni di tre alti ufficiali. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu, invece, continua a rimandare l’avvio di una commissione d’inchiesta indipendente sulle responsabilità politiche di quella giornata, alimentando proteste crescenti e tensioni ai vertici dello Stato. Lo scontro sulla gestione dell’attacco del 7 ottobre è oggi uno dei punti più delicati del dibattito pubblico israeliano.

La conclusione dell’inchiesta militare e le prime rimozioni ai vertici

Il primo passaggio formale è arrivato con la relazione della commissione interna guidata dal generale in congedo Sami Turgeman. Il capo di Stato maggiore, Eyal Zamir, nella sua dichiarazione pubblica ha definito il fallimento che ha reso possibile l’attacco del 7 ottobre come «sistemico, non tattico e non momentaneo». Una responsabilità diffusa, che secondo l’Idf richiede una risposta altrettanto strutturata.

Zamir ha così disposto la rimozione di tre figure apicali. Il maggiore generale Aharon Haliva, già capo della Direzione dell’intelligence militare, aveva presentato le sue dimissioni nell’aprile 2024 ma è stato comunque indicato nel rapporto come uno dei responsabili dell’insufficiente allerta informativa precedente all’attacco del 7 ottobre. A seguire è stato coinvolto il maggiore generale Oded Basiuk, ex capo della Direzione Operativa, che aveva lasciato l’incarico a luglio. La terza figura è Yaron Finkelman, già responsabile del Comando Sud, sostituito a marzo dopo aver annunciato le dimissioni due mesi prima.

Queste decisioni, pur riguardando militari che in diversi casi avevano già comunicato la loro uscita dall’esercito, assumono un significato politico notevole. L’Idf vuole segnalare ai cittadini che sta assumendo le proprie responsabilità senza attendere i tempi della politica. Zamir ha inoltre anticipato che per gli ufficiali ancora in servizio potrebbero arrivare «ulteriori provvedimenti», con l’obiettivo dichiarato di ricostruire la fiducia dell’opinione pubblica, messa a dura prova dall’attacco del 7 ottobre.

Il gelo con Netanyahu e il congelamento delle nomine militari

La reazione del governo è stata immediata e non conciliativa. Il ministro della Difesa, Israel Katz, ha annunciato il congelamento per un mese delle nomine di alto livello dell’esercito. Una scelta che riflette la volontà dell’esecutivo di esaminare in maniera autonoma il rapporto Turgeman, incaricando il generale in congedo Yair Volanski di presentare un’analisi dettagliata entro trenta giorni. L’iniziativa ha però aggravato la distanza tra governo e vertici militari.

Secondo indiscrezioni riportate dai media israeliani, Zamir non avrebbe informato Katz nel dettaglio delle sanzioni già adottate, segnale evidente della crescente diffidenza tra i due livelli di comando. La gestione dell’attacco del 7 ottobre è diventata così il terreno di un conflitto istituzionale che attraversa non solo il gabinetto di guerra, ma anche la maggioranza politica che sostiene Netanyahu.

Il premier, da mesi sotto pressione per le presunte responsabilità politiche del mancato allarme e della catena di comando, continua infatti a rinviare l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente. Una scelta che ha suscitato critiche anche all’interno della coalizione, con alcuni ministri che chiedono maggiore trasparenza sulla mancata preparazione dell’intelligence nelle ore precedenti l’attacco del 7 ottobre.

Le piazze contro il governo e la richiesta di una commissione indipendente

Mentre governo e Idf si fronteggiano, cresce la mobilitazione popolare. Sabato scorso migliaia di persone si sono ritrovate in piazza Habima, a Tel Aviv, in un corteo promosso dal gruppo October Council. È stata una delle manifestazioni più partecipate degli ultimi mesi, segno che la ferita dell’attacco del 7 ottobre resta al centro del dibattito pubblico.

Alla protesta hanno partecipato molti esponenti di spicco dell’opposizione, tra cui l’ex premier Naftali Bennett, Yair Lapid, Avigdor Liberman e gli ex generali Benny Gantz, Gadi Eisenkot e Yair Golan. Tutti hanno chiesto apertamente l’istituzione di una commissione statale indipendente, sottolineando che solo un’indagine esterna all’esecutivo può chiarire la catena di responsabilità di quel giorno.

Lapid, in particolare, ha scritto sui social che «il fallimento del 7 ottobre non potrà essere chiarito finché l’inchiesta resterà nelle mani di chi era responsabile della sicurezza nazionale». Ha poi aggiunto che «quando saremo al governo, nei primi giorni istituiremo la commissione», prefigurando una possibile sconfitta elettorale di Netanyahu nel 2026. Le piazze chiedono chiarezza, e la mancanza di una risposta politica continua ad alimentare tensioni.

Prospettive politiche e istituzionali dopo un anno di fratture

A più di dodici mesi dall’attacco del 7 ottobre, Israele si trova in una fase di fragilità politica e istituzionale. La guerra a Gaza è ancora in corso, gli ostaggi non sono stati liberati e le dinamiche interne alla coalizione di governo restano instabili. In questo contesto, la frattura tra Idf e governo rischia di danneggiare ulteriormente la percezione di unità nazionale.

La pressione per avviare una commissione d’inchiesta non accenna a diminuire. Per molti osservatori, solo un’indagine indipendente potrà garantire un percorso trasparente di ricostruzione della catena di comando e rispondere alle accuse di responsabilità politica avanzate contro Netanyahu. L’Idf ha scelto di muoversi autonomamente, ma i suoi provvedimenti non possono sostituire una valutazione istituzionale completa.

L’evoluzione della crisi dipenderà ora dall’esito delle analisi avviate dal ministero della Difesa, dalle eventuali contro-mosse dell’Idf e dal clima politico che accompagnerà Israele verso le elezioni previste per il 2026. In un Paese ancora segnato dall’attacco del 7 ottobre, il bisogno di una ricostruzione della fiducia tra istituzioni, esercito e società civile appare oggi più urgente che mai.

Scritto da: Matteo Respinti

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