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today8 Dicembre, 2025
Nel giro di poche ore la Corte Suprema USA ha emesso due decisioni che confermano la profonda svolta conservatrice dell’istituzione e il peso delle nomine volute da Donald Trump. Prima ha autorizzato il Texas a usare già dalle elezioni di midterm del 2026 una nuova mappa elettorale contestata per profilazione razziale. Poi ha accettato di esaminare la costituzionalità dell’ordine esecutivo con cui Trump vuole limitare il diritto alla cittadinanza per nascita. Due mosse che segnano un cambiamento strutturale nella dottrina giuridica americana e che indeboliscono il principio dello stare decisis, da decenni fondamento dell’equilibrio interpretativo del sistema federale.
La prima decisione della Corte Suprema USA riguarda il ridisegno dei distretti elettorali approvato dalla maggioranza repubblicana del Texas. La mappa modifica in profondità i confini di aree come Houston, diluendo il voto afroamericano e ispanico e favorendo il G.O.P. in almeno cinque collegi oggi in mano ai democratici. Una corte distrettuale di El Paso aveva giudicato la legge incompatibile con il Voting Rights Act del 1965 e aveva bloccato la sua applicazione. I giudici supremi, invece, hanno ribaltato il verdetto.
Secondo la maggioranza conservatrice, guidata da Samuel Alito, Neil Gorsuch e Clarence Thomas, i giudici di primo grado avrebbero ignorato la “presunzione di buona fede del legislatore” e si sarebbero ingeriti in una decisione politica. La Corte sostiene che il redistricting risponde a un obiettivo “puramente politico”, cioè mantenere la maggioranza dei seggi alla Camera, e non violerebbe la Costituzione. In questa interpretazione, la Corte Suprema USA sembra accettare che il vantaggio di parte sia sufficiente a giustificare la manipolazione dei distretti, separando il gerrymandering politico da quello razziale.
La decisione appare in contrasto con precedenti storici. Nel caso Vieth v. Jubelirer del 2004, tutti i nove giudici concordarono sul fatto che un gerrymandering estremo potesse essere incostituzionale. L’attuale sentenza supera quella convinzione condivisa e apre la strada a interventi molto più marcati dei legislatori statali sulla composizione dei collegi, con conseguenze sul principio basilare della rappresentanza democratica.
La seconda decisione della Corte Suprema USA riguarda l’ordine esecutivo firmato da Trump il 20 gennaio, con cui l’amministrazione limita il diritto alla cittadinanza per nascita ai soli figli di genitori regolarmente presenti negli Stati Uniti. Una misura che contrasta una tradizione giuridica di 125 anni e l’interpretazione consolidata del 14° Emendamento.
Le corti inferiori, in più Stati, hanno già respinto l’ordine presidenziale, citando il testo stesso dell’emendamento: «Tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti […] sono cittadine degli Stati Uniti». Il giudice John Coughenour, nominato da Ronald Reagan, ha definito la questione “la più chiara” affrontata in quarant’anni di carriera.
Nonostante ciò, la Corte Suprema USA ha deciso di ascoltare l’argomentazione dell’amministrazione, secondo cui i figli di migranti irregolari non sarebbero “soggetti alla giurisdizione degli Stati Uniti”, ma a quella del Paese di origine dei genitori. La ratio interpretativa rientra nell’approccio originalista che guida la maggioranza dei giudici. L’udienza è prevista in primavera, con sentenza attesa per l’estate.
L’esito potrebbe ridefinire uno dei pilastri dell’identità statunitense e aprire un precedente destinato a superare decenni di orientamento giurisprudenziale.
Le due decisioni confermano il peso dei sei giudici conservatori, nominati in parte durante le amministrazioni repubblicane e in larga misura proprio da Trump. Dopo la cancellazione della Roe v. Wade nel 2022, la Corte Suprema USA ha continuato a ribaltare precedenti storici estendendo i poteri presidenziali e limitando gli ambiti d’intervento delle corti inferiori.
Il riferimento costante alla teoria dell’originalismo ha contribuito a radicare un’interpretazione che guarda alla Costituzione come documento fisso, legato al significato che avrebbe avuto nel XVIII secolo. Le tre giudici liberal – Elena Kagan, Sonia Sotomayor e Ketanji Brown Jackson – hanno più volte espresso preoccupazione per una lettura che non tiene conto dell’evoluzione sociale e culturale degli Stati Uniti.
La deriva conservatrice impatta anche sul sistema politico. Il via libera ai distretti del Texas potrebbe consolidare una maggioranza repubblicana alla Camera, influenzando le elezioni del 2026 e oltre. Allo stesso tempo, la discussione sulla cittadinanza per nascita tocca un tema centrale nelle politiche migratorie e identitarie, con effetti che potrebbero ridefinire equilibri demografici e diritti fondamentali.
Le due pronunce della Corte Suprema USA indicano un cambiamento profondo e destinato a durare. La dottrina dello stare decisis, che per decenni ha guidato la continuità giurisprudenziale, cede il passo a un approccio più flessibile e politico. È un passaggio che riflette la polarizzazione del Paese e l’influenza della politica sulla massima autorità giudiziaria.
La Corte appare oggi orientata a dare risposta alle istanze conservatrici, ridefinendo i confini tra diritto e politica. Il risultato è un’America che entra in un ordine giuridico nuovo, più rigido, più identitario e con una Corte Suprema USA che, per la prima volta da decenni, sembra intervenire come motore attivo del cambiamento politico.
Scritto da: Matteo Respinti
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