Listeners:
Top listeners:
play_arrow
GR News
play_arrow
Giornale Radio
play_arrow
Radio Podcast
play_arrow
70-80.it
play_arrow
Radio Italia Network
La pubblicazione della National Security Strategy (NSS) è da sempre un momento atteso da studiosi, diplomatici e analisti di politica internazionale. Nel caso dell’amministrazione di Donald Trump, che ha pubblicato la sua NSS verso fine settimana scorsa, l’attesa e i timori erano più che mai diffusi. Si tratta di un documento che, per consuetudine, illustra la visione strategica complessiva degli Stati Uniti e orienta la pianificazione della sicurezza nazionale negli anni successivi. Se in passato la NSS aveva avuto il carattere di un riferimento talvolta tecnico, talvolta programmatico, nel caso dell’amministrazione Trump l’attenzione è stata particolarmente elevata. Nei mesi precedenti, infatti, molte scelte del Presidente americano erano apparse improvvisate o dettate da impulsi contingenti; per questo, molti osservatori si aspettavano che la NSS potesse conferire una cornice più coerente e strutturata all’azione dell’esecutivo.
La National Security Strategy in salsa Trump richiama concetti come interesse nazionale, pace attraverso la forza e realismo flessibile, segnando una rottura netta con l’impostazione più esplicitamente valoriale e missionaria di alcune amministrazioni precedenti, in particolare quelle che avevano puntato su un’idea di promozione globale della democrazia e dell’ordine internazionale liberale. Il testo presentato da Trump sembra invece descrivere un mondo caratterizzato dalla competizione fra grandi potenze, nel quale gli Stati Uniti devono proteggere i propri interessi con pragmatismo e fermezza, evitando di farsi carico di impegni giudicati eccessivi o non più strategicamente giustificati. Questa impostazione non equivale, tuttavia, a un ritorno dell’isolazionismo. L’amministrazione Trump propone piuttosto una forma di interventismo selettivo, concentrato soprattutto nell’emisfero occidentale e finalizzato a preservare lo spazio di influenza storicamente rivendicato dagli Stati Uniti nel continente americano. In questo senso, molte analisi hanno evocato un parallelo con la Dottrina Monroe, elaborata nel XIX secolo come principio di non interferenza delle potenze europee negli affari dell’America. Sebbene il contesto internazionale sia radicalmente cambiato, il richiamo a una maggiore autonomia strategica nel proprio “vicinato” appare evidente.
La National Security Strategy manifesta inoltre una chiara preferenza per l’azione unilaterale rispetto ai meccanismi multilaterali. Le organizzazioni internazionali e i fori di cooperazione vengono descritti come strumenti che, nel corso del tempo, avrebbero permesso sia agli alleati sia ai rivali di sfruttare la posizione statunitense, limitandone la libertà d’azione e, in alcuni casi, erodendo il predominio americano. Questa critica si inserisce in una visione del sistema internazionale fortemente competitiva, in cui ogni vincolo multilaterale deve essere valutato alla luce dei benefici immediati forniti agli Stati Uniti. Dal punto di vista retorico, il documento sembra ispirarsi ad alcune idee attribuite alla tradizione realista della politica estera americana. Gli osservatori hanno notato echi teorici a Henry Kissinger, con la loro enfasi sugli equilibri di potere e sulla necessità di un approccio pragmatico. Tuttavia, nella pratica, l’impostazione appare più vicina alla logica della Dottrina Monroe che non ai modelli di grande strategia propri del realismo classico. Mancano, infatti, alcuni elementi fondamentali della tradizione realista, come una chiara definizione delle priorità globali, un’esplicita valutazione dei trade-off e un bilanciamento sistematico tra mezzi e fini.
La dimensione dei rapporti con gli alleati europei rappresenta uno dei passaggi più delicati. Il documento contiene diversi richiami alla necessità che gli alleati aumentino il proprio contributo alla difesa e assumano maggiori responsabilità nella gestione della sicurezza regionale. Si tratta di una posizione già espressa, seppur con toni diversi, da amministrazioni precedenti e radicata nel dibattito americano da decenni. Tuttavia, sotto Trump, questo messaggio è accompagnato da una retorica spesso provocatoria, che interpreta la relazione transatlantica come un rapporto squilibrato in cui l’Europa beneficia della protezione statunitense senza contribuire in modo proporzionato. In quest’ottica, l’idea stessa di Occidente viene messa in discussione. Se tradizionalmente essa si fondava su un legame politico, culturale e di valori condivisi tra Stati Uniti ed Europa, nella visione dell’amministrazione Trump questa nozione viene reinterpretata in chiave più funzionale e meno identitaria. Il documento sembra suggerire che l’Occidente, inteso come progetto politico e normativo, abbia nel tempo favorito alcuni partner europei a scapito dell’interesse statunitense. È questa, probabilmente, la lettura più radicale e innovativa rispetto alla tradizione americana: una critica che rovescia l’assunto secondo cui l’ordine liberale sia stato uno strumento di potenza per Washington. Non mancano, tuttavia, elementi di continuità con le amministrazioni precedenti. La competizione strategica con la Cina è riconosciuta come sfida centrale del XXI secolo, in termini sia economici sia militari. Allo stesso modo, viene ribadita la necessità di mantenere un equilibrio di potere in Asia e di contrastare il rafforzamento di attori revisionisti. Anche la richiesta di un maggiore impegno finanziario degli alleati nella difesa collettiva, in particolare all’interno della NATO, ribadisce quanto espresso da elaborazioni politiche già presenti prima dell’arrivo di Trump.
La National Security Strategy descrive inoltre un mondo “in trasformazione” in cui l’Europa riveste un ruolo relativamente meno centrale rispetto al passato. Questa valutazione rispecchia un dibattito ormai consolidato nella politica internazionale, legato al crescente peso dell’Asia e alla natura transnazionale delle nuove minacce. Tuttavia, l’amministrazione Trump sembra trarre da questa constatazione una conclusione ulteriore: che l’impegno americano in Europa possa essere ridimensionato senza rilevanti rischi strategici, una posizione non condivisa da tutte le componenti dell’apparato istituzionale statunitense.
Nel complesso, la National Security Strategy dell’amministrazione Trump appare come un tentativo di sistematizzare un approccio già visibile nei primi mesi della presidenza: una visione del mondo competitiva, fondata sull’idea che gli Stati Uniti debbano difendere i propri interessi con determinazione e ridurre la propria esposizione in contesti considerati poco remunerativi. Alcuni analisti hanno paragonato questa impostazione alla narrazione storica di Tucidide, che descrisse la guerra del Peloponneso come il risultato inevitabile di uno scontro tra potenze emergenti e potenze declinanti o già dominanti. Tuttavia, l’applicazione di tali categorie richiederebbe una coerenza strategica e una profondità analitica che il documento, per quanto articolato, sembra solo parzialmente raggiungere.
Scritto da: Michele Ceci
amministrazione trump casa bianca national security strategy
Testata Giornalistica “GR News” registrata presso il Tribunale di Milano - Registro Stampa N° 194/2022 | GR News - Iscrizione al R.O.C. Registro Operatori della Comunicazione – Reg. n° 33572 - Copyright ©2025 Nextcom Srl – Società editoriale - P. IVA 06026720968 - TEL 02 35971400 – WHATSAPP 349 182 75 01
Commenti post (0)