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today10 Luglio 2025
La mozione di sfiducia a von der Leyen è stata respinta dal Parlamento europeo, ma il risultato rivela una realtà politica allarmante per la presidente della Commissione Ue. Appena metà dell’aula ha confermato il proprio sostegno, segnando un calo netto rispetto all’insediamento della sua seconda Commissione. Il voto, formalmente legato allo scandalo soprannominato Pfizergate, è diventato il simbolo della crescente insoddisfazione nei confronti della sua leadership, in particolare per il riarmo europeo e il ridimensionamento del Green Deal.
Il 10 luglio 2025 il Parlamento europeo ha votato la mozione di sfiducia a von der Leyen promossa dal gruppo dei Conservatori e Riformisti (Ecr), con 175 voti favorevoli, 360 contrari e 18 astenuti. Sono 167 gli eurodeputati che non hanno partecipato alla votazione. Formalmente la presidente si è salvata: per far passare la mozione sarebbero stati necessari almeno 361 voti favorevoli e una maggioranza dei due terzi dei votanti. Ma, politicamente, il messaggio è tutt’altro che rassicurante.
La cosiddetta “maggioranza Ursula”, composta da Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e Liberali (Renew), ha mostrato segni evidenti di crisi. Alla votazione hanno partecipato solo 553 deputati su 720, e tra questi solo la metà (360) ha scelto di rinnovarle la fiducia. Nel 2024, al momento dell’insediamento, i voti favorevoli erano stati 401: una perdita secca di 41 consensi. «Il voto odierno non è la nostra battaglia», ha dichiarato Fratelli d’Italia, che ha deciso di non prendere parte al voto, lasciando così emergere divisioni anche nel gruppo dei Conservatori.
Il pretesto formale della mozione è stato il caso Pfizergate: l’accusa rivolta a Ursula von der Leyen di aver negoziato privatamente via SMS l’acquisto di vaccini con il CEO di Pfizer durante la pandemia, senza mai rendere pubblici quei messaggi nonostante una sentenza del Tribunale Ue che ne chiedeva la divulgazione. Ma le ragioni profonde vanno oltre.
Le tensioni all’interno della maggioranza sono legate soprattutto alla gestione centralistica della Commissione, al piano di riarmo europeo promosso con forza da von der Leyen e al ridimensionamento del Green Deal. Queste scelte hanno creato malumori trasversali, soprattutto tra Socialisti, Verdi e parte dei Liberali, che negli ultimi mesi avevano minacciato l’astensione.
Alcuni di questi malumori si sono attenuati solo negli ultimi giorni, dopo che la Commissione ha annunciato l’inclusione del Fondo Sociale Europeo nel bilancio 2028-2034. Ma l’impressione è che si sia trattato di una concessione emergenziale per evitare una spaccatura formale della coalizione. Come ha ammesso la stessa presidente dei Verdi, Terry Reintke, il voto non è stato in difesa della von der Leyen, ma contro una mozione presentata da partiti «anti-vaccini, euroscettici e ammiratori di Putin».
Il voto ha visto una spaccatura evidente anche tra le delegazioni italiane. La sfiducia a von der Leyen è stata sostenuta da Lega e Movimento 5 Stelle. Quest’ultimo ha accusato Fratelli d’Italia di essere «passato dal mai inciuci con la sinistra a fare da stampella a Ursula», dopo che la delegazione di FdI ha scelto di non partecipare alla votazione.
Forza Italia e Partito Democratico, invece, hanno votato contro la mozione, confermando il proprio appoggio alla presidente. Il Partito Democratico ha espresso 14 voti contrari su 21, ma alcuni deputati, tra cui Brando Benifei, Cecilia Strada, Marco Tarquinio e Alessandro Zan, risultano assenti. Brando Benifei ha spiegato che non è riuscito a votare per un malfunzionamento tecnico.
La scelta di Fratelli d’Italia di non votare ha diviso l’opinione pubblica e sollevato polemiche anche all’interno dell’Ecr, il gruppo parlamentare europeo cui appartiene. Le delegazioni di Polonia e Romania hanno sostenuto la sfiducia, mentre altre (tra cui Belgio, Spagna e Lituania) si sono sfilate o hanno votato contro. A sottolineare la confusione, è intervenuto anche il premier ungherese Viktor Orbán, parlando su X di una scelta tra «l’élite imperialista di Bruxelles» e «i patrioti europei».
Il voto del 10 luglio rappresenta una bocciatura politica, se non formale. La sfiducia a von der Leyen è stata respinta, ma la presidente esce dalla votazione più debole che mai. La sua maggioranza è numericamente salva, ma moralmente in crisi. Le tensioni tra PPE, Socialisti e Renew sono ormai manifeste: dai contrasti sul Green Deal alla gestione migratoria, passando per la linea ambigua tenuta dal PPE nei confronti dell’estrema destra.
Il secondo mandato della presidente tedesca, iniziato con l’insediamento della Commissione a fine 2024, rischia ora di naufragare tra scontri interni, accuse di opacità e un crescente distacco dall’opinione pubblica. Il caso Pfizergate, al centro della mozione di censura, è solo la punta dell’iceberg. In pochi mesi, von der Leyen ha perso il sostegno di 10 eurodeputati rispetto al giorno del suo insediamento. Una tendenza che, se confermata, potrebbe rendere impraticabile la prosecuzione dell’attuale legislatura fino al 2029.
Intanto, proprio nel giorno della votazione, la presidente era a Roma per partecipare alla conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina. Un’immagine che ben rappresenta l’ambivalenza della sua leadership: ancora saldamente al centro della scena internazionale, ma sempre più contestata dentro casa. La sfiducia a von der Leyen, anche se respinta, è il segnale di una frattura che difficilmente si ricomporrà.
Scritto da: Matteo Respinti
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