Economia

L’Italia sale al quarto posto nella classifica dei Paesi esportatori

today15 Dicembre, 2025

Sfondo

Export italiano resiliente: crescita in Italia nel 2025 nonostante dazi, tensioni geopolitiche e svalutazione del dollaro.

Un’analisi pubblicata dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre, segnala che, sebbene sia ancora prematuro avanzare stime definitive, l’aumento dei dazi introdotto dall’Amministrazione Trump non pare aver inciso in maniera particolarmente negativa sulle vendite delle aziende italiane all’estero: né verso gli Stati Uniti e nemmeno verso gli altri mercati internazionali.

Al contrario, sia pure alla luce delle tensioni geopolitiche e delle difficoltà del commercio mondiale, nel terzo trimestre del 2025, l’Italia va a collocarsi al quarto posto, tra i Paesi che compongono il G20, in quanto ad esportazioni di merci, per un valore complessivo di quasi 190 miliardi di dollari.

Il confronto internazionale secondo l’OCSE

Infatti, secondo l’OCSE, dopo aver superato il Giappone (184 miliardi), ora il nostro Paese si vede superato solamente dalla Cina (con 944,6 miliardi), dagli Stati Uniti (con 547,8) e dalla Germania (con 453,8 miliardi).

La dinamica dell’export complessivo italiano

Più in dettaglio, la CGIA rileva come il nostro export, dopo la contrazione avvenuta nel 2024 sul 2023 (-3,3 miliardi di euro, pari a – 0,5 %), nei primi nove mesi del 2025, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è tornato a crescere e ha registrato un incremento di 16,6 miliardi di euro (+3,6 per cento).

Puntando poi l’attenzione sulle nostre vendite verso il mercato statunitense, gli analisti di Mestre segnalano il raggiungimento di un risultato positivo: infatti, anche in questo caso, dopo la contrazione del 2024 sul 2023 (-2,2 miliardi di euro pari al -3,3 per cento), nei primi 9 mesi di quest’anno l’export negli USA ha ripreso ad aumentare di 4,3 miliardi di euro (corrispondenti al +9 %), passando da 48,1 a 52,4 miliardi di euro.

L’ipotesi dell’anticipo degli acquisti e l’andamento mensile

È, comunque, possibile che questo dato sia dovuto al fatto che i consumatori americani — siano essi famiglie o imprese — abbiano anticipato gli acquisti di merci italiane prima dell’entrata in vigore dell’aumento delle tariffe doganali avvenuta l’estate scorsa. E questa ipotesi troverebbe un’ulteriore conferma nella variazione registrata nello scorso mese di agosto, che ha, infatti, archiviato un calo del 21,6 % rispetto allo stesso periodo del 2024.

Anche se – e qui si complicano le difficoltà analitiche – stiamo parlando di una tendenza che è stata poi subito ribaltata nel mese successivo, visto che, a settembre, la variazione su base annua del nostro export verso Washington è salita del 34,7 per cento, andando, sostanzialmente, a confutare l’idea che l’incremento delle tariffe doganali avrebbe provocato un crollo verticale delle esportazioni italiane negli USA…

Le spiegazioni della CGIA sull’aumento dell’export negli USA

Pertanto, in attesa di poter disporre di un arco temporale sufficientemente lungo per consentire la formulazione di un’analisi meno congiunturale (circa gli effetti commerciali derivanti dai dazi imposti dall’Amministrazione Trump), la CGIA avanza l’ipotesi che l’incremento delle esportazioni italiane nel mercato statunitense – soprattutto a settembre – sia attribuibile alla combinazione di due fattori:

  1. In primo luogo, i consumatori statunitensi potrebbero aver continuato ad acquistare i prodotti italiani nonostante l’aumento dei prezzi e, considerato che il 92 % delle merci italiane vendute negli USA appartiene a una fascia qualitativa medio-alta, se ne potrebbe dedurre che sia “pressoché impossibile sostituire il made in Italy con qualsiasi altro prodotto di pari livello”.
  2. In secondo luogo, le aziende italiane potrebbero aver difeso o addirittura ampliato le loro quote di mercato negli Stati Uniti, compensando l’incremento del prezzo finale dei propri manufatti (causato dall’aumento delle tariffe doganali), attraverso una riduzione dei loro margini di profitto.

I rischi delle politiche protezionistiche e del cambio

Nel complesso, l’Associazione degli artigiani veneti invita, comunque, a non sottovalutare il rischio che le politiche protezionistiche messe in atto da Donald Trump finiscano per condizionare, nel medio-lungo periodo, il commercio estero anche del nostro Paese, sia per le conseguenze dirette (e cioè, le mancate esportazioni), che per quelle indirette (e cioè, la riduzione dei margini di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato USA, oppure il trasferimento delle imprese stesse o di una parte delle loro produzioni verso gli USA).

Inoltre, a queste due eventualità, la CGIA aggiunge anche il problema congiunturale rappresentato dalla svalutazione (attualmente del 12%) del dollaro nei confronti dell’euro. Ciò nonostante – si legge nell’analisi – se nei primi nove mesi le nostre esportazioni verso il mercato americano sono aumentate del 9 %, la cosa significa che il risultato raggiunto è stato davvero importante e che i dazi, le crisi internazionali e la svalutazione del dollaro non hanno fermato il nostro export.

L’analisi merceologica dei principali prodotti esportati

Invece, a livello merceologico, la CGIA ha preso in esame i primi 50 gruppi di prodotti esportati che rappresentano il 90 % del totale. Ne è emerso che, nei primi 9 mesi del 2025, gli incrementi di vendita nei mercati di tutto il mondo hanno riguardato, in particolare, la produzione italiana di navi e imbarcazioni (+51,6 %), di medicinali e di preparati farmaceutici (+37,6 %), di metalli preziosi (+32,4 %) e di aeromobili (+25,5 %). Al contrario, sono risultate negative le performances della gioielleria (-14,7 %), dei prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (-13,6 %) e delle auto (-10 %).

Scritto da: Ferruccio Bovio

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