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today21 Luglio 2025
Dall’analisi CGIA di Mestre: se Trump impone dazi al 30 %, l’Europa risponda tassando le big tech statunitensi che in Italia fatturano miliardi ma pagano poco meno delle PMI.
Mentre si avvicina la scadenza del primo agosto fissata da Donald Trump, Bruxelles sta cercando, in ogni modo, di portare avanti i negoziati con Washington per evitare i danni più gravi alle esportazioni dei Paesi europei. Tuttavia, nella malaugurata ipotesi che un accordo alla fine non venga trovato, l’Ufficio Studi della CGIA di Mestre ha delineato un potenziale scenario di conflittualità commerciale tra le due sponde dell’Atlantico.
E il principale aspetto di una eventuale strategia contro le barriere doganali imposte dagli Stati Uniti sarebbe – secondo l’Associazione degli artigiani veneti – quello di introdurre delle misure sanzionatorie nei confronti delle grandi aziende tecnologiche statunitensi. Queste, pur realizzando in Europa “utili da capogiro”, continuano a pagare le tasse prevalentemente nei Paesi a fiscalità di vantaggio.
Il ragionamento della CGIA parte dalla premessa che i dazi doganali al 30 %, preannunciati dall’Amministrazione Trump, potrebbero innescare una serie di effetti diretti sulle esportazioni italiane. I dati storici mostrano che l’industria italiana ha già affrontato sfide simili in passato, e l’analisi di queste esperienze può fornire indicazioni utili per affrontare la situazione attuale.
A cui andrebbero sommati anche quelli indiretti, come l’ulteriore svalutazione del dollaro sull’euro, un aumento dell’incertezza dei mercati finanziari e un probabile incremento del costo di molte materie prime. Tutti fattori che sarebbero in grado di provocare un danno economico al nostro sistema produttivo fino a 35 miliardi di euro all’anno. Praticamente la dimensione di una finanziaria, che potrebbe avere effetti a lungo termine sulla crescita economica del Paese.
E dinanzi a una prospettiva di questo tipo – spiega sempre la CGIA di Mestre – diventa praticamente inevitabile soffermarsi sul fatto che le principali multinazionali del web presenti in Italia, tre anni fa, hanno realizzato, nel nostro Paese, un fatturato di 9,3 miliardi di euro, versando al fisco italiano solamente 206 milioni di euro. Questa disparità ha attirato l’attenzione di esperti fiscali che sottolineano l’urgenza di una riforma fiscale che possa garantire una maggiore equità.
E qui si impone un confronto tra gli importi versati all’erario dai colossi tecnologici americani e quelli delle nostre piccole e medie imprese che, sempre nel 2022, hanno pagato ben 27,2 miliardi di tributi, contribuendo significativamente al bilancio dello Stato e al benessere delle comunità locali.
Certo, le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse, ma – almeno a giudizio della CGIA – il risultato che emerge è, comunque, avvilente. Se, infatti, le piccole aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 98,5 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, per quanto riguarda, invece, le imposte, le prime ne pagano ben 132 volte più delle seconde. Questa situazione ha portato a un crescente dibattito pubblico sulla giustizia fiscale e sull’importanza di un sistema che premi i contribuenti che operano onestamente nel mercato.
In sostanza, si può affermare, “Con buona approssimazione che la distanza in termini di fatturato non giustifica quella relativa al gettito, così svantaggiosa per le Pmi”. Pertanto – proseguono gli analisti di Mestre – “il ricorso sistematico all’elusione praticato negli anni ha incrementato questo gap, mettendo in evidenza in misura inequivocabile che, in Italia, alle multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato un trattamento fiscale di grande favore. Questo porta a un’inefficienza del sistema fiscale che potrebbe influenzare negativamente le prospettive di sviluppo delle PMI e dell’intera economia italiana”.
Se poi il confronto viene esteso a tutte le imprese (di qualunque dimensione) presenti in Italia, allora l’Ufficio Studi della CGIA rileva anche che i 206 milioni di imposte versate dai giganti del WebSoft sono ben poca cosa rispetto a quanto pagano le imprese lombarde che, invece, danno all’erario 144,6 volte in più, quelle laziali 60,4 volte in più e quelle venete 42,3 volte in più. Questa disparità territoriale evidenzia la necessità di una politica fiscale più omogenea che possa garantire a tutte le imprese un trattamento equo e giusto, promuovendo la crescita economica in tutte le regioni del Paese.
Scritto da: Ferruccio Bovio
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