Economia

In Italia le migliori PMI d’Europa

today24 Novembre, 2025

Sfondo

PMI migliori d’Europa: la forza delle piccole e medie imprese italiane tra leadership europea e carenza di grandi gruppi industriali.

Un’analisi dell’Ufficio Studi della CGIA di Mestre ha messo a confronto le PMI italiane con le altre d’Europa, evidenziando come le prime si distinguano positivamente e occupino una posizione di leadership a livello continentale. Esaminando, infatti, parametri come il numero di imprese, l’occupazione generata, il fatturato e il valore aggiunto prodotto, le aziende italiane con meno di 250 dipendenti risultano prevalere in tutte le categorie.

A spiccare in particolare è il dato relativo al livello di produttività, che arriva persino a superare quello delle imprese tedesche, di solito considerate come le migliori nel settore manifatturiero europeo.

I dati sulle PMI italiane

Gli ultimi dati disponibili – spiegano gli analisti mestrini – rivelano che le nostre piccole e medie imprese sono circa 4,7 milioni (pari al 99,9% del totale) e danno lavoro a 14,2 milioni di addetti: ossia, al 76,4 per cento del totale nazionale. Inoltre, il confronto numerico con le grandi imprese segnala, purtroppo, l’esigua consistenza di queste ultime.

Pertanto, le aziende di grandi dimensioni ammontano a 4.619 ( e sono, quindi, lo 0,1 per cento del totale), anche se occupano oltre 4,4 milioni di addetti (il 23,6 per cento del totale). Invece, per quanto concerne il fatturato, le PMI producono il 64 % del totale nazionale e circa la stessa quota di valore aggiunto (65 %). Per contro, le grandi imprese fatturano il 36 per cento del dato nazionale e apportano il 35 per cento del valore aggiunto.

Il confronto con l’Europa e la Germania

Come si è detto, su scala europea, le performance ottenute dalle PMI italiane sono le migliori. Non a caso, se sul piano numerico la loro quota è in linea con quella delle altre principali economie continentali, il contributo da esse fornito in termini occupazionali e di valore aggiunto è, invece, nettamente superiore.

Se, ad esempio, si fotografa la differenza con la sola Germania, allora emergerà come le nostre PMI diano lavoro al 74,6 % degli addetti totali, contro il 55,2 % delle pari categoria tedesche. In quanto poi a fatturato, in Italia, le PMI ne producono il 62,9 % del totale, contro il 35,8 % della Repubblica Federale. Infine, in termini di valore aggiunto, il contributo offerto delle nostre PMI si attesta al 61,7 del totale, mentre quello delle concorrenti tedesche si ferma al 46%.

Il problema della carenza di grandi imprese

In sostanza, in nostro Paese dispone, più o memo, della stessa quota di PMI degli altri principali competitor europei, con la differenza però, che loro possono, in aggiunta, contare anche un maggior numero di imprese di grandi dimensioni che, invece, da noi sono malauguratamente venute a scarseggiare.

Di conseguenza, sebbene le nostre PMI rappresentino un punto di riferimento in Europa, il sistema produttivo italiano, nel suo complesso, finisce per lamentare ancora numerose criticità. Spesso, infatti, queste nostre virtuose imprese nazionali – risultando sotto capitalizzate e con limitata liquidità – finiscono per incontrare notevoli difficoltà nell’accesso al mercato dei capitali e mostrano anche una scarsa propensione a stabilire rapporti di collaborazione con il mondo della ricerca e dell’università.

Un declino legato alla perdita delle grandi industrie

Ecco perché la CGIA ritiene che gli ostacoli più rilevanti che incontra l’intero sistema produttivo nazionale risiedano, oggi, nella carenza di grandi aziende: “una situazione sconosciuta fino a circa quarant’anni fa”. Quando cioè – si legge nell’analisi in questione – l’Italia si collocava ancora tra i leader europei e talvolta mondiali “nei settori della chimica, della plastica, della gomma, della siderurgia, dell’alluminio, dell’informatica, dell’auto e della farmaceutica , grazie al ruolo e al peso giocato da molte grandi imprese sia pubbliche che private (Montedison, Montefibre, Moplen, Pirelli, Fiat, Italsider, Alumix, Olivetti, Stet, Angelini, etc.)”.

Oggi, a distanza di pochi decenni, la nostra economia ha, invece, purtroppo “perso terreno e leadership in quasi tutti questi comparti”: e si tratta di un “declino non imputabile al caso o a eventi fortuiti, ma riconducibile a una selezione naturale operata dal mercato”. È indiscutibile – spiega ancora l’Associazione degli artigiani veneti – che lo scandalo di Tangentopoli abbia rappresentato un significativo punto di svolta e che gli effetti delle privatizzazioni avvenute nel nostro Paese nei primi anni ’90 – oltre a quelli della globalizzazione esplosa negli ultimi vent’anni – abbiano contribuito ad escludere dal mercato (o a determinare profonde ristrutturazioni) tutti quei grandi gruppi industriali (sopra citati), molti dei quali erano, tra l’altro, controllati dallo Stato.

Il ruolo decisivo delle PMI nel G20

Ma se in Italia non abbiamo più le grandi imprese, allora, se siamo ancora nel G20 – e cioè, nel nucleo dei dei paesi più industrializzati del mondo – possiamo, quindi, essenzialmente dire grazie al lavoro straordinario svolto dalle nostre PMI. E su questo argomento, la CGIA spezza convintamente una lancia a favore dei “tantissimi piccoli e piccolissimi imprenditori (ed alle loro maestranze) che grazie alla capacità di combinare qualità, buon gusto, artigianalità e design, realizzano dei prodotti che sono caratterizzati da una forte identità che evoca emozioni e fiducia nei consumatori di tutto il mondo”.

Scritto da: Ferruccio Bovio

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