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Il valore del metallo giallo supera i 4.000 dollari l’oncia e fa crescere le riserve della Banca d’Italia, confermando l’oro come bene rifugio globale.
Continua imperterrita la corsa dell’oro e, per il nostro Paese, si tratta di un trend decisamente positivo. Infatti, con la quotazione del metallo prezioso che è ormai giunta a superare i 4.000 dollari l’oncia, la tradizionale propensione della Banca d’Italia ad accumulare riserve auree si sta rivelando come altamente redditizia.
Non a caso, stando alle stime di Money.it (testata giornalistica specializzata in economia e finanza), solo nell’ultima settimana il valore complessivo delle riserve italiane è aumentato di 16,6 miliardi di dollari, equivalenti a circa 14,25 miliardi di euro.
Un incremento davvero rilevante che deve, senz’altro, essere attribuito al fatto che l’Italia dispone oggi della terza maggiore riserva aurea al mondo, dopo Stati Uniti e Germania, con 2.451,8 tonnellate di oro, equivalenti a circa 86,5 milioni di once. Di queste, circa 1.100 tonnellate sono custodite nei caveau della Banca d’Italia a Roma, mentre la parte restante è depositata all’estero, soprattutto negli Stati Uniti (43%).
Per descrivere il percorso costantemente in crescita fatto registrare dall’oro nel 2025, basti pensare che lo scorso 9 ottobre il suo valore ha raggiunto i 4.057 dollari l’oncia, lasciandosi largamente alle spalle la barriera dei 3.000 dollari alla quale era attestato soltanto sette mesi prima. Pertanto, dall’inizio dell’anno, il metallo giallo ha guadagnato oltre il 50%, favorito – in questo senso – dall’indebolimento del dollaro, dagli anni di politiche monetarie espansive e dalle tensioni geopolitiche che ne hanno rafforzato il ruolo di bene rifugio.
Vi segnaliamo che la rivalutazione delle riserve italiane di cui abbiamo scritto prima, è stata calcolata confrontando il prezzo dell’oro a 3.863 dollari l’oncia (del 2 ottobre) con il picco di 4.057 dollari del 9 ottobre. La differenza, pari a circa 5%, equivale, dunque, a un guadagno teorico di 16,6 miliardi di dollari. E pure con la quotazione di lunedì 13 ottobre (che è pari a 3.997 dollari), la rivalutazione resta, comunque, vicina agli 11,5 miliardi di dollari (corrispondenti a 9,9 miliardi di euro).
La corsa all’oro non è certo un fenomeno recente. Gli Stati Uniti cominciarono, infatti, ad accumulare riserve auree già tra le due guerre mondiali, giungendo poi, nel 1944, a consolidare la loro leadership economica con il sistema di Bretton Woods, che durò fino al 1971 e che consisteva in un sistema di cambi fissi che legavano il valore delle valute nazionali al dollaro USA. Dollaro che, a sua volta, era ancorato all’oro a un tasso fisso di 35 dollari per oncia.
Anche la Germania ricorse al consolidamento delle proprie riserve nel dopoguerra come garanzia di stabilità per il marco. E pure l’Italia, fin dagli Anni Quaranta, optò per l’accumulo di uno dei patrimoni aurei più consistenti d’Europa. Così come anche altri Paesi – vedasi Francia e Russia – hanno individuato nell’oro un valido strumento geopolitico per ridurre la dipendenza dal dollaro e proteggersi da sanzioni internazionali.
E motivazioni analoghe, si può dire che abbiano spinto – specialmente negli ultimissimi anni – anche la Cina e l’India ad intensificare gli acquisti di oro, inteso quale componente essenziale per il risparmio nazionale e la stabilità interna. Persino la Svizzera che, forse come nessun altro Paese al mondo, simboleggia la stabilità finanziaria, è sempre stata bene attenta al mantenimento di scorte auree elevate, nonostante le dimensioni ridotte della propria economia.
L’oro, quindi, oltre a rappresentare un valore simbolico, costituisce – anche e soprattutto – una riserva di stabilità per le economie nazionali, essendo in grado, in presenza di crisi finanziarie o valutarie, di garantire quell’argine di sicurezza, indispensabile per sostenere la moneta, fronteggiare deficit temporanei e diversificare i portafogli riducendo, in tal modo, la dipendenza dal dollaro.
Ecco perché, in un contesto geopolitico instabile come quello che il mondo sta al momento attraversando, il metallo giallo è tornato ad essere un punto di riferimento determinante nelle strategie delle banche centrali.
Scritto da: Ferruccio Bovio
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