Economia

Il Rapporto GIMBE sulla sanità pubblica in Italia

today8 Ottobre, 2025

Sfondo

Sanità pubblica in Italia: secondo il rapporto Gimbe, crisi dei finanziamenti, boom della spesa privata e disparità regionali tra Nord e Sud.

Nel presentare l’ottavo Rapporto sullo stato della sanità pubblica in Italia, il presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, ha parlato di un “lento ma inesorabile smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale” che, se sarà ancora ignorato, condannerà milioni di persone alla perdita di un diritto fondamentale: quello alla salute.

Finanziamenti pubblici e spesa privata

Tra il 2023 e il 2025 – si legge nel documento – al Servizio Sanitario Nazionale sono venuti a mancare 13,1 miliardi di euro, mentre, nello stesso arco temporale, oltre 41 miliardi di euro sono stati pagati dalle famiglie italiane per far fronte a spese sanitarie private. Ed in questo contesto, un italiano su dieci ha dovuto rinunciare alle cure. Di conseguenza, spiega GIMBE, la riduzione sistematica dei finanziamenti pubblici – unita alla disorganizzazione del sistema – crea spazi sempre più ampi per la crescita del settore privato.

Carenze di personale

Nel frattempo, l’Italia che pure si colloca al secondo posto in Europa per numero di medici, scivola però nelle ultime posizioni per quanto riguarda la presenza di infermieri, con gravi squilibri nell’assistenza e nel funzionamento dei servizi di prossimità.

Fondo Sanitario Nazionale e inflazione

È vero che, in quanto a valori assoluti, il Fondo Sanitario Nazionale passerà dai 125,4 miliardi del 2022 ai 136,5 miliardi del 2025: tuttavia, a causa dell’inflazione, dei rincari energetici e del calo della spesa sanitaria l’aumento è solo apparente. Tanto è vero che, come si è prima accennato, la sanità italiana ha perso 13,1 miliardi di euro nel triennio: un calo che mette in gravi difficoltà le Regioni, che si vedono obbligate a fronteggiare fabbisogni crescenti con risorse insufficienti.

Così, nel 2025 mancheranno all’appello 7,5 miliardi, che si teme possano addirittura aumentare a 13,4 miliardi nel 2028: salvo, ovviamente, porre un argine alle perdite tagliando i servizi oppure aumentando le tasse locali.

Boom della spesa privata

A questo stato di cose si contrappone il fenomeno del boom della spesa privata: basti pensare che, nel 2024, la nostra spesa sanitaria complessiva ha toccato i 185,12 miliardi di euro, di cui 47,66 miliardi pagati privatamente. Di questi ultimi, ben 41,3 sono usciti direttamente dalle tasche delle famiglie, senza alcuna intermediazione assicurativa o mutualistica.

La conseguenza – osserva la Fondazione GIMBE – è purtroppo quella che oltre 5,8 milioni di Italiani hanno rinunciato a prestazioni sanitarie: e si tratta del 9,9% della popolazione. Una percentuale che arriva al 17,7% in Sardegna. E a questo proposito, Cartabellotta commenta amaramente, affermando che “quando la sanità diventa un lusso, viene meno il patto tra cittadini e Istituzioni. La salute non può dipendere dal reddito”.

Medici e infermieri

Come si è detto, il nostro non è un Paese che abbia carenza di medici: anzi, con 315.720 medici attivi – pari a 5,4 per mille abitanti – l’Italia è seconda in Europa dopo l’Austria. Tuttavia, a causa di condizioni di lavoro sfavorevoli, molti medici abbandonano la sanità pubblica o scelgono l’estero.

Più drammatica risulta essere, invece, la situazione sul fronte degli infermieri: solo 6,5 ogni mille abitanti, contro una media Ocse di 9,5. Una media che, in Sicilia, scende addirittura a 3,53. E stiamo parlando di un deficit davvero preoccupante, sottolineato anche dal fatto che, per l’anno accademico 2025/2026, le domande di accesso al Corso di Laurea in Infermieristica non coprono nemmeno i posti disponibili.

Disparità regionali e LEA

A livello di ripartizioni dei fondi, il Rapporto segnala come il sistema penalizzi le Regioni giovani e svantaggiate: pertanto, Liguria, Molise e Umbria – con popolazioni anziane – ricevono le quote più alte pro-capite, mentre Campania, Sicilia e Lazio restano sotto la media nazionale.

Ne consegue il quadro di un’Italia spaccata, nella quale solo 13 Regioni rispettano i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), registrandosi le maggiori criticità nel Mezzogiorno: ed a confermare questa situazione è il fenomeno della mobilità sanitaria, con i suoi 5 miliardi spesi (in dodici mesi) per curarsi fuori Regione e con il Nord che incassa e il Sud che perde fondi e pazienti. Una disparità che si riflette anche sulle aspettative di vita, tanto è vero che in Campania si vive in media tre anni in meno rispetto alla Provincia di Trento.

Privatizzazione dei servizi

Passando poi ad esaminare l’ambito dell’assistenza residenziale, riabilitativa e ambulatoriale, il Rapporto rileva un netto prevalere del privato sul pubblico. Pertanto, mentre la spesa pubblica verso i convenzionati cala (al 20,8% del totale), il “privato puro” cresce a ritmi vertiginosi, facendo segnare un +137% dal 2016: e stiamo parlando di un sistema parallelo, sostenuto da fondi, assicurazioni e investitori, che risponde solo a chi può pagare.

“Nessun Governo – sottolinea Carabellotta – ha mai dichiarato di voler privatizzare il SSN”, “ma nei fatti è ciò che sta accadendo. Il rischio è che la sanità pubblica diventi un rifugio per chi non ha alternative, mentre la qualità si sposta nel privato”.

PNRR e sanità territoriale

Il PNRR poteva rappresentare l’occasione per rilanciare la sanità territoriale: purtroppo però, solo il 21% delle Case della Comunità previste è, al momento, pienamente operativo e meno del 5% dispone di personale medico e infermieristico. Gli Ospedali di Comunità attivi sono la metà di quelli programmati ed anche la digitalizzazione procede al rallentatore: ad esempio, il Fascicolo Sanitario Elettronico è consultabile solo dal 42% dei cittadini, con forti disparità territoriali.

Piano di rilancio del SSN

Guardando al futuro, la Fondazione GIMBE propone un Piano di Rilancio del SSN fondato su tre pilastri:

  1. Un patto politico, che ponga la salute al centro delle politiche pubbliche;

  2. Un patto sociale, che renda i cittadini consapevoli e corresponsabili;

  3. Un patto professionale, che valorizzi il personale sanitario e metta fine ai privilegi di categoria.

“Il SSN – conclude Cartabellotta – è un bene comune e non possiamo permettere che diventi un privilegio per pochi. La salute deve tornare a essere un investimento strategico per il futuro del Paese”.

Scritto da: Ferruccio Bovio

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