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L’agricoltura sociale come strumento efficace per la formazione, l’inclusione lavorativa e il riscatto personale nelle carceri italiane.
L’agricoltura sociale può fornire, indubbiamente, un suo contributo prezioso per favorire il reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti che, non a caso, risultano essere tra le categorie più presenti nei progetti promossi dalle fattorie solidali.
Ossia, da una rete che in Italia conta circa novemila aziende agricole, nel segno di un welfare rurale che sta guadagnandosi spazi sempre più ampi di attenzione.
È quanto apprendiamo dalla lettura di un’analisi della Coldiretti (su dati Welfare Index Pmi) che è stata diffusa in occasione della presentazione del rapporto Censis/Cnel “Recividiva zero”, sull’importanza dell’attività lavorativa nelle carceri.
All’iniziativa ha preso parte il responsabile dell’Area Lavoro di Coldiretti, Romano Magrini, che ha firmato un protocollo d’intesa finalizzato ad aumentare le opportunità occupazionali dei detenuti.
Sono numerosi i casi di iniziative e corsi promossi dalla rete di Campagna Amica direttamente nelle carceri italiane (o in aziende) per il reinserimento lavorativo di ex detenuti. In questo modo l’agricoltura – sottolinea Coldiretti – ha contribuito in modo significativo al miglioramento della qualità della vita di migliaia di persone, le quali hanno così ricevuto formazione e, in molti casi, sono state anche presenti, quotidianamente, nelle aziende agricole. Si tratta di opportunità che sono rese possibili dalla Legge di Orientamento del 2013, fortemente voluta da Coldiretti, che ha rivoluzionato l’attività nelle campagne.
Tra le iniziative portate ad esempio dall’Associazione dei coltivatori italiani, si segnala quella realizzata nel carcere napoletano di Poggioreale, denominata “Oltre le sbarre con l’aeroponica” (una tecnologia di sviluppo in serra di piante senza l’utilizzo di terra o di qualsiasi altro aggregato di sostegno). Un progetto concepito per il recupero di un’area verde all’interno delle mura carcerarie della stessa Casa Circondariale di Napoli, attraverso il quale, utilizzando tecniche agronomiche innovative come l’aeroponica i detenuti coltivano piante fitoterapiche, in modo semplice e accessibile. Tutto ciò si propone non solo di aprire nuove opportunità di apprendimento e lavoro per i detenuti, ma anche di facilitarne l’inclusione sociale.
E la socialità del progetto – spiega Coldiretti – raggiunge il suo culmine proprio nella fase finale: quando cioè, le piante coltivate con tanta cura e dedizione vengono messe in commercio attraverso i mercati di Campagna Amica, emanazione della stessa Coldiretti. È proprio in quel momento, infatti, che l’opportunità di reinserimento e dignità per chi ha sbagliato, diventa un puro e concreto tramite tra la realtà della Casa Circondariale e la comunità esterna.
Questo perché, acquistando determinati prodotti, i cittadini non solo scelgono la qualità e la filiera corta, ma finiscono anche per sostenere direttamente un percorso di rinascita, un messaggio potente di speranza che germoglia, appunto, “oltre le sbarre”, oltre i limiti fisici e simbolici del carcere. Ed è la dimostrazione – spiega sempre Coldiretti – che, anche nei luoghi più difficili, “la terra e la socialità possono diventare strumenti potenti di trasformazione e benessere collettivo”.
Iniziative come questa dimostrano, dunque, come l’agricoltura sociale possa assumere un valore che va ben oltre la semplice produzione di beni alimentari. Diventa, infatti, uno strumento concreto di riscatto umano, capace di restituire dignità e senso alla quotidianità di chi vive una condizione di detenzione.
Attraverso il lavoro nei campi, la cura delle piante e il contatto diretto con la terra, le persone coinvolte riscoprono il valore del tempo, della responsabilità e della pazienza. Ogni pianta che cresce rappresenta un piccolo successo, una tappa in un percorso fatto di impegno e di speranza, testimonianze vive di un cammino che può davvero ricominciare.
Scritto da: Ferruccio Bovio
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