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Dal Rapporto Agroalimentare annuale, recentemente presentato dall’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo e Agroalimentare) al Ministero dell’Agricoltura e Foreste, emerge un settore capace di trainare l’economia italiana, di risultare resiliente dinanzi ai numerosi shock esogeni che si sono susseguiti negli ultimi anni e di confermarsi protagonista in Europa con diversi primati.
La solidità dei fondamentali – sia per quanto concerne il settore agricolo, che per quello dell’industria di trasformazione – consolida l’agroalimentare nella sua posizione di pilastro (tra i maggiori) del sistema economico nazionale, con un peso sul nostro PIL che arriva a toccare il 15% se si considera l’intera filiera, “dal campo alla tavola”.
A livello europeo, il Rapporto ISMEA 2025 conferma la leadership dell’Italia nell’agroalimentare continentale, con risultati di eccellenza in svariati ambiti strategici. Infatti, il nostro Paese si segnala come:
Accanto a questi eccellenti traguardi, l’ISMEA aggiunge poi anche le straordinarie performance dell’export agroalimentare che, con un valore prossimo ai 70 miliardi nel 2024 e un saldo della bilancia commerciale passato da un deficit di 6 miliardi di euro del 2015 a un surplus di 2,8 miliardi di euro, fa segnare un trend decisamente positivo.
Un trend che, tra l’altro, è, sino ad ora, proseguito anche nel 2025, con le esportazioni che sono cresciute del 5,7% nei primi nove mesi dell’anno. Particolarmente importante è stata la dinamica negli Stati Uniti dove, nel 2024, le vendite di prodotti italiani hanno raggiunto i 7,8 miliardi di euro, facendo registrare un balzo del 17,1% sul 2023.
Naturalmente, oltre ai numerosi risultati pienamente confortanti, il Rapporto non può certo fare finta di ignorare alcuni elementi di complessità – tutti esogeni al settore – che dipendono da uno scenario geopolitico mondiale, caratterizzato da incertezze e conflitti, da una fase di transizione delle relazioni economiche internazionali e da un ritorno al protezionismo commerciale.
I nuovi dazi introdotti dagli Stati Uniti costituiscono, infatti, un problema particolarmente delicato, al quale l’ISMEA dedica un opportuno approfondimento all’interno del suo studio, chiarendo che “la valutazione dei loro effetti non può prescindere dalla specificità dei singoli comparti, dal grado di sostituibilità dei prodotti italiani sul mercato nordamericano e dalle dinamiche del tasso di cambio, che influisce sugli scambi in misura analoga alle tariffe”.
Più in generale, sulla base dell’accordo Usa/UE del luglio 2025, il settore agroalimentare – gravato da un dazio addizionale medio ponderato del 12,9% – appare meno penalizzato rispetto a quello di altri Paesi, ma resta, comunque, relativamente più colpito rispetto ad altri comparti industriali sensibili, per i quali la UE ha spuntato trattamenti più favorevoli.
Nel complesso, la situazione rimane, quindi, ancora di difficile lettura, essendo tuttora decisamente influenzata dalle aspettative degli operatori. Una valutazione più accurata circa l’impatto dei dazi americani potrà pertanto – conclude l’ISMEA – essere espressa solo a partire dalla metà del 2026.
Scritto da: Ferruccio Bovio
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